Quando l'Italia faceva affari in Cina

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I nuovi valori del Levante

I nuovi valori comparvero solo tra il settembre ed il novembre del 1917: creati dal Ministero degli Esteri appositamente per il personale addetto alla Legazione e al Consolato, per i militari e gli equipaggi delle navi nazionali. Erano complessivamente dieci, disegnati da Nestore Leoni e Francesco Paolo Michetti, con sovrastampa. Il loro impiego era previsto per gli Uffici Postali di Pechino e Tientsin. Dopo la “Rivolta dei Boxers” (1900), gli Italiani ottennero delle basi in Estremo Oriente. Questo fu l’esito di una vicenda che vide la crisi a partire dal marzo 1899, quando il Governo Cinese rifiutò di accettare le imposizioni provenienti dall’estero e di accordare una concessione territoriale a Roma.

“Il sollevamento dei boxers, caotico e spontaneo, fu, dopo la rivolta indiana del 1857, il più grande sforzo di difesa da parte di una civiltà non europea contro l’Occidente cristiano”. A scriverlo è Alan John Percival Taylor in “L’Europa delle grandi potenze”, che ricorda come le violenze – tra le vittime, l’ambasciatore tedesco Clemens von Ketteler – indussero gli altri Paesi europei a reagire. Il danno per l’Impero Cinese fu enorme: massacri, saccheggi e devastazioni, oltre a una pesante indennità da pagare garantita dal controllo esterno delle dogane imperiali, nonché la concessione di nuove basi, e il riconoscimento di Tientsin all’Italia. In realtà l’Italia aspettò il settembre 1917 per aprire uffici di posta civile e introdurre cartevalori specifiche (fino ad allora vennero utilizzati i valori di posta militare e i normali francobolli italiani).

La prima emissione è tra le più pregiate. Offre diverse varietà nella sovrastampa, che venne applicata manualmente sul posto: capovolta, verticale od obliqua, doppia e addirittura contemporaneamente una diritta e l’altra rovesciata.

Due reperti, probabilmente unici, appartengono all’archivio Zanaria. Sono i quarti di foglio del 2 su 5 centesimi (contenente cento pezzi) sovrastampato per Pechino Tientsin. Ad esaminare il primo insieme ci si rende conto della relativa facilità con cui era possibile applicare erroneamente il testo aggiuntivo. Annovera nove sovrastampe rovesciate, tre doppie, una con nominale diverso e addirittura una con la scritta “Tientsin”. Il catalogo valuta il blocco destinato a Pechino oltre 70mila euro; l’altro, che non riporta errori, raggiunge quota 90mila, poiché il singolo francobollo è più costoso. Entrambi i reperti hanno colla integra; il prezzo è a richiesta. Le produzioni dentellate proseguirono fino al 1920. Offrono trenta francobolli di posta ordinaria targati Pechino, mentre quelli destinati a Tientsin sono venticinque. Vanno poi aggiunti due esemplari per gli espressi e una dozzina di segnatasse a città. La collezione degli Uffici Postali Italiani in Cina è ancora oggi una delle più affascinanti del periodo moderno dell’area italiana.